Alessandro
Piperno,
Senza una virgola fuori posto,
«la Lettura» del «Corriere della Sera», 17 giugno 2018. Leggi
qui il pdf.
È un modo di dire, ma in questo caso no.
Leonardo Luccone, traduttore ed editor, scopritore di alcuni gioielli di
Cheever, ha compilato un incantevole manualetto sulla punteggiatura. Un
bestiario ricco di aneddoti, strafalcioni e curiosità su Calvino e Pavese e
Valéry… Perché, è il caso di dirlo, un uso adeguato di punti e virgole, punti e
due punti è la spia di una pace interiore, di una raggiunta consapevolezza
artistica
Ah, mesta vita
del redattore editoriale!
Passa mesi chino
sulle bozze, o almeno dovrebbe farlo. Armato di metodo, pazienza, acribia,
matite colorate e la cara vecchia gomma da cancellare, esprime la sua fedeltà
alla causa nella furia fredda con cui si accanisce su distrazioni e scorciatoie
corrive. Con il tempo impara ad alternare riguardo a sospetto, cautela a
improntitudine, piedi per terra a voli pindarici. In un mondo più elegante del
nostro, il redattore editoriale – l’ultima ruota del carro – godrebbe del
potere, dell’autonomia e del credito di un amministratore delegato o di un maître à penser.
Un discorso
analogo vale per i traduttori.
Ne ho incontrati
di così superciliosi da ingaggiare lotte senza quartiere con testi
cocciutamente refrattari alla trasposizione inter-linguistica.
Tienilo a mente,
caro scrittore: non aspettarti dalla vita giudici più assennati e scrupolosi,
critici più sensibili alle sfumature, lettori più devoti, dei tuoi redattori e
dei tuoi traduttori. Ti inizieranno al gusto euforizzante di lavorare con chi è
privo di pregiudizi ideologici, con chi se ne sbatte di estetiche autoriali o
generalizzazioni critiche, con chi si affida al gusto, al senno, all’orecchio.
Leonardo G.
Luccone è traduttore e editor (ai tempi di Giulio Einaudi non c’era quasi
distinzione tra queste due categorie professionali). Gli devo la scoperta
imperdonabilmente tardiva di alcuni racconti di John Cheever, uno scrittore
meraviglioso. E ora anche la compilazione di questo incantevole, informatissimo
manualetto sulla punteggiatura: Questione
di virgole. Punteggiare rapido e accorto (Laterza). «Al termine del
percorso» spera Luccone «scriverete un po’ meno virgole e qualche punto e
virgola in più».
Si racconta che
una sera Bassani, appena rientrato a Ferrara da Milano, fece dietrofront per
tornare in casa editrice a ripulire il suo Airone
da una virgola malandrina: lo aveva perseguitato per tutto il viaggio. Storia
di ordinaria monomania flaubertiana.
Se la vita del
giovane scrittore plana sui cieli burrascosi della cosmologia e della
vanagloria, l’esistenza del narratore attempato si consuma nel tepore di una
routine laboriosa e instancabile. Lo stile è il suo polmone d’acciaio, e le
pause tra un respiro e l’altro sono scandite dal ritmo suadente o convulso dell’interpunzione.
Che ne sarebbe di Céline senza i rabbiosi tre punti? Di Nabokov senza le
parentesi colme di preziosa profumata mercanzia? Di Gadda senza i pedanti,
insistiti due punti?
Luccone è di un
laicismo encomiabile. Il suo relativismo vacilla solo di fronte ad alcuni
postulati: «A me pazzi e stilisti sono sempre piaciuti – qui ne porto tanti a
modello –, però voglio che ci sia un solco entro cui stare la maggior parte del
tempo». Le regole sono regole: l’abitudine di mettere una virgola tra soggetto
e predicato (così in voga tra i miei studenti) è un errore che non merita
eccezioni, deroghe e per carità nessuna indulgenza. Ciò detto, la punteggiatura
è efficace se aspira all’onnipotenza e all’invisibilità, come Jahvè, se si
mette al servizio della singolare idea di prosa che ogni autore coltiva, che
ogni autore dovrebbe coltivare. «La punteggiatura è espressività. La vostra
punteggiatura siete voi» ci incoraggia Luccone. Il bestiario da lui allestito è
ricco e variegato, così come ricchi e variegati sono gli esempi virtuosi che
affastella con un gusto per le tassonomie a dir poco entusiasta.
Non è un caso
che, in questo viaggio nel mare aperto della punteggiatura, Luccone affidi a
Valéry il ruolo di nocchiero. Che meraviglioso editor sarebbe stato – Valéry,
intendo – se non avesse avuto meglio da fare. Nemico dei discorsi vaghi,
generici, campati in aria, credeva solo nella forza ordinatrice della sintassi,
nella sua capacità suggestiva e potenza retorica. Non c’è sintassi senza
punteggiatura. «Tutto ciò che divide per unire è punteggiatura» dice Luccone. A
cominciare dal famoso punto a capo che ne L’educazione
sentimentale separa «Viaggiò» da «Conobbe la malinconia dei piroscafi»: un’ellissi
che esprime l’inutile, faticoso peregrinare di Frederic Moreau, nonché il
disincanto senile del suo creatore.
Luccone denuncia
la «tremarella da assenza di virgole» che affligge anche stilisti di genio come
Calvino e Pavese, inducendoli a errori imperdonabili. È indubbio che l’horror vacui può spingerti a ingolfare
la prosa di segnetti pleonastici. Per scrivere cose buone, pare suggerire
Luccone, occorre fidarsi di sé e del lettore.
Una
punteggiatura adeguata è spia della pace interiore di un buon narratore, di una
raggiunta consapevolezza artistica. Ho frequentato molte meno grammatiche di
quanto con tutta evidenza non abbia fatto Luccone. Per temperamento sono
attratto più dalla prassi che dalla teoria. Ma tale ignoranza non fa che
incrementare il mio stupore al cospetto delle mille fattispecie accumulate in
questo manuale, suffragate da bizzeffe di esempi gustosi: le virgole cannibali,
le virgole che collegano le frasi, le virgole per le enumerazioni, le virgole
con le interiezioni o con il gerundio, le virgole prima delle congiunzioni e
chi più ne ha più ne metta…
Leggendo non
facevo che ripetermi: «Già, è proprio così»; oppure «Ah, ecco perché». Leggendo
mi sentivo meno solo, meno stupido, meno alienato. Leggendo mi sembrava di
capire che all’origine dell’universo non c’è mica il Verbo, bensì una Virgola
meditata e al posto giusto.